
Secondo gli Yogasutra di Patanjali la pratica quotidiana è possibile, senza frustrazione.
Abhyasa, la pratica diligente e costante, è uno dei concetti fondamentali degli Yogasutra di Patanjali, libri antichissimi e fondamentali per lo yoga che ci indicano il sentiero verso una meditazione consapevole, che punta alla “liberazione” dall’ego. Perché è centrale il concetto di abhyasa? Perché solo con la pratica diligente, quotidiana e costante si ottengono risultati in molte aree della nostra crescita personale. Il segreto (ed è la parte più difficile) è praticare, praticare, praticare: ogni giorno ci sarà un piccolo miglioramento, anche se spesso totalmente impercettibile.
Disciplina, ribellione e senso di colpa
In Occidente leggiamo “disciplina” e pensiamo immediatamente a concetti come obbligo, costrizione, imposizione. Inevitabilmente quindi questa libera traduzione del concetto di abhyasa scatena in noi reazioni di ribellione e sensi di colpa.
Nodi intrecciati ci tengono in ostaggio: “Dovrei praticare… ma non adesso”, “ora devo fare una telefonata”, “ho appena mangiato, ora mi riposo un po’” ecc. E magari trascorriamo il resto del giorno con questo pensiero più o meno nascosto che, a fine giornata, si è trasformato in senso di colpa per qualcosa che “non siamo riusciti a fare” e che viaggia a vele spiegate verso il mare affollato di migliaia di non-azioni.
E il senso di colpa è il nemico numero uno dell’amore verso se stessi.
Patanjali negli Yogasutra si occupa di questo meccanismo e ci offre un vero e proprio metodo graduale di crescita personale.
Perché essere costanti è difficile?
Innanzitutto, perché dentro di noi si sviluppa questo meccanismo? Perché scelgo di fare una cosa, ma poi inizio una lotta durissima contro me stesso proprio per ciò che io ho scelto?
Un primo ostacolo – che richiede consapevolezza perché molto difficile da riconoscere – è costituito dalla motivazione illusoria di cercare qualcosa che ci faccia “stare meglio”, ma che non deve, in termini di impegno, “avere un costo”: no impegno, no fatica, ma tanti risultati! Non vorrei darvi brutte notizie al riguardo… A questo si legano le aspettative sui risultati immediati, che ovviamente dovrebbero arrivare senza impegno e subito.
Un altro motivo è il corto circuito mentale che ci procura la parola disciplina e causa la tendenza a delegare la nostra crescita a qualcuno/qualcosa di esterno a noi, l’impazienza verso noi stessi e l’atteggiamento adolescenziale di ribellione verso la disciplina vista come dovere.
All’origine profonda del senso di colpa
Tutto questo ha poi una motivazione profonda e personale che ognuno di noi potrebbe scoprire attraverso un lavoro di consapevolezza di sè.
Ad esempio, può darsi che nella nostra famiglia, a scuola o in qualche sistema gerarchico ci siano arrivati messaggi di “impossibilità” a raggiungere obiettivi alti (“non sognare ad occhi aperti!”) o, al contrario, si sia posta per noi molto, troppo in alto l’asticella (“bravo/a, ma è troppo poco, non sai fare di meglio?”).
Le conseguenze del senso di colpa: rinuncia o perfezionismo
Certamente, messaggi di questo tipo fanno leva sul senso di colpa e sul senso di inadeguatezza di chi non raggiunge l’obiettivo, ovvero molti di noi. Diventiamo così gli abitanti del mondo degli “inferiori”, di coloro che sono incapaci e in debito con gli abitanti del mondo dei “superiori”.
Cresciamo di conseguenza con la convinzione che tutto ciò che ci apprestiamo a fare deve essere sottoposto a giudizio, introiettiamo tutte le figure giudicanti dentro di noi (cioè il giudice non è più esterno, ma interno: noi stessi) e nutriamo il mai soddisfatto Super Io, che fa la parte del massimo esponente della CGGI, la Commissione Gerarchica dei Giudicanti Implacabili.
Pertanto, mai soddisfatti di ciò che facciamo o non facciamo, ci poniamo ai due poli opposti: rinuncia o perfezionismo. È un paradosso che origina un doloroso conflitto interno.
Tanta roba. Da dove comincio? Come posso facilitarmi?
I 3 consigli di Patanjali
Ecco che viene ancora una volta in nostro aiuto Patanjali, indicandoci 3 consigli fondamentali affinché l’obiettivo della pratica quotidiana e costante non diventi per noi una prigione interiore:
- Attitudine: paziente.
Se guardi fisso alla montagna aspettando con impazienza il momento di essere vicino alla vetta, ti sembra di non arrivare mai. Se invece non ci pensi e godi di ciò che incontri allora, ogni volta che alzi per caso lo sguardo, senza ansia e senza aspettativa, ti accorgerai di essere sempre più vicino. E in fondo “arrivare” in cima non è più il primo pensiero. Ancora una volta è utile l’indicazione di incuriosirsi su dove poggerà il piede piuttosto che bramare la vetta. Se ci pensi bene, la vera avventura è questa, perché una volta che sei in cima niente altro puoi scoprire. Allora ti viene voglia di scalare un’altra montagna! Ergo: le emozioni, le avventure, gli ostacoli da superare li hai incontrati mentre salivi. - Osservazione: curiosa.
Posso divertirmi a osservare come affronto ciò che scelgo senza giudicarmi? - Pratica: tutti giorni decido quanto tempo dedicare a una sessione di Yoga o di Meditazione.
5 minuti? 10? No, non ti stai prendendo in giro, questo atteggiamento paziente e rispettoso nei tuoi riguardi produrrà dei risultati sorprendenti in termini di relazione pacifica con te stesso/a. Ciò che conta è la continuità: un passo alla volta arrivi in cima alla montagna più alta! Ti stai allenando a sentire la dolcezza della disciplina e della pazienza, e ti stai inoltrando nel territorio della libertà di scelta consapevole: libertà di impiegare parte del tuo tempo a ciò che ti è necessario in quanto essere complesso, che ha bisogno di ascoltarsi e rispettarsi. Stai formando il carattere che ti piace!
Provarci per 40 giorni
E ora? In quarantena!
Un buon esercizio per cambiare è infatti decidere di mantenere una piccola buona abitudine per quaranta giorni. Ad esempio, come dicevamo, cinque minuti di meditazione, un saluto al sole, dieci minuti di mantra o anche quell’asana che ti piace tanto.
È molto importante anche l’aspetto del piacere, che toglie energia al dovere. Se poi un giorno salti, invece di flagellarti e tornare nel mondo degli “inferiori” destinati a fallire, semplicemente ricominci.
Così, in un paio di mesi, una nuova abitudine è acquisita in modo stabile ed è più facile mantenerla nel tempo.
Chissà se è vero? Non ti resta che provare! Scopri come posso aiutarti!
Per approfondire
Pada sutra 12, 13 e 14 in Abhyasa: la scienza dello yoga. Commento agli yogasutra di Patanjali di I.K. Taimni, Ubaldini Editore, Roma.